Mario De Micheli

“Ferrara: I personaggi, i miti, i fantasmi” Libro monografico-mostra Studio d’arte Melotti-Ferrara, novembre 1991

Ferrara: i personaggi, i miti, i fantasmi.

L’amico Melotti ha davvero una fede intrepida. Non solo: ha pure il talento ese-cutivo, che gli ha permesso, un anno dopo l’altro, di portare avanti questa difficile impresa. Ferrara, indubbiamente, gli deve molto. Non credo infatti che esista un’altra città in grado di vantare una serie così ricca e suggestiva di opere come quelle disegnate e dipinte in suo onore da un gruppo egregio di artisti particolarmente sensibili ai valori della sto¬ria, della cultura e di un passato tanto fervido di fantasie e di sogni. Ora, tra due anni, il ciclo di questi sorprendenti ritratti urbani sarà compiuto e si potranno tirare le somme, ma sin da oggi si può già constatare l’atto d’amore che ha sostenuto Melotti nel perseguire l’intento di esaltare la sua città, la sua Ferrara, con l’omaggio straordinario delle interpretazioni che ormai ne hanno già dato sette pittori.

Pittori diversi per ispirazione, per metodo, per visione. Adesso è la volta di Giuliano Pini, un artista fiorentino della quarta generazione, un giovane dunque, ma pienamente attrezzato per un’avventura di così grande impegno. Io conosco Pini sin dai suoi inizi. Me lo ricordo timido ed esile quando, una trentina d’anni fa, venne a mostrarmi un grosso fascio d’incisivi disegni. Scrissi allora la presentazione per la sua prima mostra personale. Dopo, sino ad oggi, non l’ho più perso di vista, seguendo la sua vicenda e la sicura crescita della sua personalità, sempre più folta d’interessi, d’inquietudini, di curiosità e di esperienze culturali. In un breve volgere di anni egli è diventato uno degli artisti più fascinosi per la molteplicità dei ri chiami che ogni sua opera riesce a far vivere insieme: richiami letterari, musicali, figurativi, senza tuttavia che nulla, nelle sue immagini, risulti citazione o riporto, poiché ogni riferimento gli sgorga sempre da un afflato dell’emozione poetica, da una persuasiva verità dell’ispirazione.

Questo è dunque il Giuliano Pini che si è posto davanti a Ferrara per capirne lo spirito e le vicende. Ciò ch’egli ha fatto somiglia a una immersione nel tempo, nelle stagioni remote che hanno creato lo splendore, i miti e le leggende di questa pro­digiosa città. L’incontro è avvenuto attraverso un’interiore adesione, per una sorta di naturale entropia, con quella fluidità che nasce solo dall’intuizione delle cose e della vita. Ecco perché, nelle immagini che Pini ha dipinto, non c’è mai ombra di sforzo, segno artificioso di un’invenzione dettata dalla preoccupazione di un soggetto obbligato. Nel linguaggio sontuoso che gli è proprio, egli ha riassunto la specifica tematica ferrarese lasciandosene penetrare sino a ricrearne le immagini con la più spontanea felicità.

Ecco lo stupore che ci prende davanti ai suoi disegni e ai suoi quadri. Non c’è mo­mento, non c’è personaggio, non c’è simbolo o memoria di cui egli si sia dimentica­to. Ecco Nicolò III d’Este, Frescobaldi, Ariosto, Tasso; ecco il San Giorgio del Tura che torce il cavallo scalpitante sul drago; ecco De Chirico, il metafisico; e persino d’Annunzio, che canta Ferrara tra le città del silenzio. Ma non si pensi a una iconografia nuda e spoglia. Pini carica ogni immagine di rifrazioni, di rimandi, di echi, di indizi e allusioni: ne fa cioè un centro di irradiazione, da cui si dipartono altre immagini, altri suggerimenti. Ogni opera diventa così di una vibrante molte­plicità, dove volentieri intervengono anche i protagonisti dei grandi poemi, che volano nel cielo o invadono strade e piazze: l’Orlando Furioso, Tancredi e Clorinda, Ruggero e Angelica… La città ne resta come sorpresa: il rosso castello, le chiese, i campanili, i portici, disegnati con scorci insoliti, diventano quindi scenari di un nuovo racconto.

E’ facile capire come Ferrara abbia eccitato la fantasia di Pini, mettendone in mo­vimento i più segreti meccanismi. E’ di prima evidenza l’accensione cromatica che ne domina ogni immagine: i blu profondi, i rossi fiammanti, i gialli delle capi­gliature sempre agitate da un vento misterioso. Di quadro in quadro, d’immagine in immagine, Pini ha svolto così un discorso di appassionata convivenza, di rapita partecipazione. Ancora una volta, nelle immagini ch’egli ci ha dato, nulla è dun que ripetuto di quanto nelle altre mostre avevamo già visto. Questa è un’altra Fer­rara, è la sua Ferrara; e si resta impressionati di come questa città possegga magi­camente il potere di parlare a tanti artisti in modo così diverso. Certo, il modo con cui ha parlato a Pini è senza dubbio inedito.

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